CAPITOLO 2

L'outsourcing

2.1 Generalità

Al fine di incrementare la competitività delle imprese, al management di oggi è richiesto il raggiungimento di obiettivi che possono diventare contrastanti tra loro, fino a sfociare, in certi casi, in veri e propri paradossi: aumentare i profitti spendendo meno, allargare il proprio mercato e difendersi dalla concorrenza, aumentare il grado di specializzazione ed espandersi verso nuovi mercati, ottenere il massimo rendimento dalle strutture fisse aumentando il grado di flessibilità dei costi.

E' piuttosto evidente il contrasto che si può generare tra gli strumenti che il management si trova ad utilizzare per raggiungere i diversi target precedentemente esposti. Si crea una situazione controproducente, nella quale le strutture decisionali vengono sovraccaricate da input antitetici, che comportano il conseguimento di risultati parziali, frutto di compromessi insoddisfacenti, relativamente alle aspettative: l'effetto finale è quello di limitare la competitività dell'impresa rispetto alle potenzialità che possono essere espresse, in quanto il surplus di costi cosi generato, viene verosimilmente trasferito sul prodotto o sul sevizio finale.Si è ricercato una prima risposta efficace a tali problematiche attraverso l'insourcing, vale a dire attraverso un'attenta analisi delle opportunità di migliorare le strutture e le attività interne all'impresa per ricavare margini di efficienza. Si è tentato, cioè, di reinventare con criteri di efficienza, le procedure con le quali l'impresa fornisce valore al prodotto che consegna al cliente finale o al servizio che viene reso, sfruttando il concetto di reingegnerizzazione dei processi aziendali (Business Process Re-engineering o BPR). Attraverso di esso, si individuano i punti critici da ristrutturare in considerazione degli obiettivi, per effettuare quel salto qualitativo nelle performance procedurali che si traducono in un cambiamento positivo nei rapporti di competitività con la concorrenza; come affermano i due studiosi dei processi di BPR, J. Champy e M. Hammer, si tratta di "…un ripensamento di fondo e di "ridisegno" radicale dei processi aziendali, finalizzato a realizzare straordinari miglioramenti nei parametri critici delle prestazioni, come i costi, la qualità, il servizio e la rapidità". Purtroppo, i risultati conseguibili esclusivamente attraverso il BPR non sono del tutto apprezzabili per una serie di motivi. Innanzitutto le nuove configurazioni organizzative (creazione di "team" di lavoro trasversale suddivisi per prodotto, territorio, o cliente) che avrebbero dovuto portare allo snellimento delle procedure operative e gestionali specifiche, portavano in realtà ad una moltiplicazione delle strutture trasversali di controllo e ad un'intensificazione del flusso informativo da gestire, le cui impennate di costo vanno a neutralizzare la maggior parte dei miglioramenti realmente conseguiti. Inoltre la messa in regime del BPR comporta tempi di attuazione abbastanza lunghi, mettendo in evidenza, tra l'altro, forti resistenze interne al cambiamento da parte degli enti aziendali interessati.

Le prime imprese a trovare una soluzione più efficace per ottenere incrementi di competitività dell'impresa, risolvendo le incongruenze che comporta il perseguire obiettivi per certi versi contrastanti, sono state quelle che hanno iniziato a cedere a terzi la gestione di attività aziendali secondarie e che contribuiscono in modo determinante ad aggravare i costi. E' questo il concetto essenziale della terziarizzazione, fenomeno iniziato molto sporadicamente nei primi anni settanta, e che ha iniziato a coinvolgere settori sempre più ampi di quelle attività considerate non strategiche. Là dove sono state applicate queste politiche, i risultati sono stati molto promettenti, tanto che negli ultimi anni, il processo di terziarizzazione si è andato intensificando ed estremizzando, arrivando ad estenderne l'applicazione anche ad alcuni aspetti delle attività strategiche, come risultano le fasi di amministrazione e di controllo.

Il concetto di outsourcing, in sostanza, è proprio questo, ovvero, la terziarizzazione estremizzata di alcune parti delle attività strategiche e non, che permette di liberare risorse e di focalizzare gli sforzi e gli investimenti sul "core business"; il termine "outsourcing", infatti, deriva dalla contrazione di due termini inglesi (outside sourcing) che indicano, appunto, il ricorso a fonti esterne dalle quali acquisire beni e servizi per lo svolgere ed incrementare il valore delle attività principali dell'impresa. In maniera crescente, sta diventando la discriminante delle imprese di maggior successo, le quali chiedono ai propri fornitori di essere in grado di assumere il ruolo di partner commerciale attivo nel definire strategie e programmi di sviluppo sia nei processi di supply chain estesa, sia in quelli interni all'impresa, per il raggiungimento degli obiettivi preposti; come intuibile ciò comporta profonde redefinizioni delle gerarchie, delle procedure e dei flussi gestionali sia all'interno dell'impresa, sia tra questa ed i partners commerciali.

L'idea di base, è quello di acquistare da altri quelle attività, pur indispensabili, che tuttavia non contribuiscono ad elevare il livello del valore aggiunto del prodotto o del servizio se non in maniera marginale, evitando di dover fare investimenti che si potrebbero rivelare poco redditizi se confrontati all'utilità reale fornita. Il controllo diretto di ogni singola attività aziendale è costoso proprio perché porta ad inevitabili inefficienze e perdite di rendimento: acquisendole dall'esterno si semplificano i processi e si concentrano le risorse sulle attività ad alto valore aggiunto, corrispondenti al business principale dell'impresa (core business): "Nel trasferimento della gestione avviene anche il decentramento della maggior parte dei lavori di routine, ciò contribuisce ad aumentare la motivazione delle risorse che ne vengono liberate che di pari passo sviluppano una maggiore professionalità a beneficio dell'aumento della competitività aziendale nel proprio mercato, consentendo, tra l'altro, di profittare più intensamente delle aree di mercato più remunerative". [Mercati & tendenze, Comprare oggi, 1998]

Le figure implicate nell'outsourcing sono essenzialmente tre: oltre all'impresa che esternalizza la propria attività, ritroviamo il provider (o vendor o outsourcer) e le imprese alle quali il provider si rivolge. La figura centrale è senz'altro il provider, cioè quell'impresa che si impegna a fornire i beni ed i servizi richiesti, nei tempi desiderati all'impresa che ha esternalizzato l'attività. Generalmente il provider ha a disposizione un paniere di imprese alle quali fare riferimento per ottenere i beni ed i servizi da fornire; potendo contare su una grossa quantità di richieste provenienti da clienti diversi, il vendor può generare risparmi di scala, potendo offrire quindi prodotti e servizio di ottima qualità a prezzi vantaggiosi. Inoltre, nei tipi di outsourcing più estesi, il provider opera a stretto contatto con i suoi clienti al fine di definire al meglio strategie ed obiettivi, individuando i problemi e ricercandone le soluzioni migliori, preoccupandosi di introdurre i cambiamenti in modo graduale e non troppo repentino, onde evitare alcuni iniziali comprensibili squilibri. Nell'implementazione dei processi outsourcing, infatti, si procede per gradi tanto che alcuni outsourcer, in un primo tempo, inviano del personale nell'impresa cliente per collaborare nella determinazione delle strategie di BPR, oppure semplicemente per aiutare a formare il personale nell'ambito dell'outsourcing e sviluppare un team di lavoro che costituisca l'interfaccia di riferimento nelle relazioni che si instaurano nei confronti del provider.

Proprio per quanto appena detto, l'applicazione di questo strumento manageriale, presuppone di riuscire a trovare vendor adatti alle esigenze dell'impresa: affidandosi ad operatori qualificati, non solo si delegano attività e funzioni, ma si acquisiscono competenze e specificità di settore, altrimenti non alla portata. Si tratta di una condizione oggettiva, oggi facilmente superabile dal fiorire di un ampio mercato di provider.

Il maggior ostacolo all'implementazione dell'outsourcing, rimane tuttavia la diffidenza derivante dal dover abbandonare il controllo di una parte delle attività aziendali. Si tratta di una remora psicologica di carattere soggettivo piuttosto comprensibile: perché rinunciare al controllo di un'attività fino ad oggi svolta nell'azienda? In realtà, il controllo non lo si perde comunque: innanzitutto perché nelle forme per così dire "base" di outsourcing, il controllo sulle attività delegate può rimanere al cliente del vendor; in secondo luogo perché, come si analizzerà meglio in seguito, terziarizzare un'attività non significa affatto acquistare un servizio o un prodotto a scatola chiusa: vi sono, infatti, accordi ben precisi che legano le imprese e i outsourcer; infine perché i vantaggi ottenibili sono ampiamente premianti.

L'introduzione dell'outsourcing in un'impresa non è comunque un'operazione facile. E' possibile per un impresa non riuscire ad ottenere risultati apprezzabili se l'adozione di questo strumento non avviene con criteri corretti. Terziarizzare un'attività aziendale, per quanto essa possa essere marginale rispetto al core business, comporta il dover ridisegnare strutture organizzative interne, e ciò significa dover seguire alcune tappe:

  1. in una fase preventiva, si tratta di studiare e di capire molto bene le necessità ed i reali problemi che un'impresa intende superare con l'outsourcing;
  2. ci si deve muovere su un piano di carattere strategico più che tattico;
  3. si deve vincere la resistenza interna al cambiamento che può essere presente a più livelli.

L'outsourcing non è la soluzione di alcun problema se applicato su basi sbagliate o imprecise: le esperienze più deludenti rispetto alle aspettative sui risultati ottenuti attraverso l'outsourcing derivano, a monte, da una superficiale o errata interpretazione dei problemi da risolvere; lo screening delle attività e delle strutture da esternalizzare e le valutazioni sulle conseguenze dell'assetto organizzativo dell'impresa, devono essere ben definite: se l'impresa non sa lei per prima cosa e come vuole migliorare, come può stringere accordi di outsourcing efficaci?

In secondo luogo, si dovrà tenere ben presente il tipo di obiettivi che l'impresa vuole raggiungere nel tempo. Se l'outsourcing diventa lo strumento per ottenere risultati a breve termine o per risolvere emergenze momentanee, senza impostare alcun obiettivo strategico nel lungo periodo, i riscontri potrebbero rivelarsi effimeri e portare come conseguenza la destabilizzazione dell'impresa nel futuro. In questo senso è tipico l'esempio di un'impresa in difficoltà finanziarie, che può decidere di stringere un accordo per delegare ad un provider la fornitura di un determinato particolare del suo prodotto finale attualmente costruito negli stabilimenti dell'azienda; ciò può comportare la cessione di macchinari ed infrastrutture (cioè ad una mobilizzazione parziali) che consente di flessibilizzare i costi e di risolvere momentaneamente l'emergenza finanziaria. E' chiaro però che se i problemi di base che hanno prodotto quella situazione non vengono risolti, lo strumento dell'outsourcing diventa inutile nel lungo periodo e ben presto il problema si ripresenterà. Al contrario, è importante implementare l'outsourcing in un quadro di sviluppo aziendale poggiato su programmi a lungo termine, che prevedano ad esempio, l'adozione di strutture organizzative più agili, più centrate sulla "mission" dell'impresa. Il maggior cash-flow conseguente alla dismissione di capitali immobilizzati sarà una conseguenza positiva, ma certamente in questo contesto non sarà ne' effimera, ne' unica.

Infine, bisognerà tenere in considerazione la resistenza al cambiamento di alcuni enti aziendali; è del tutto normale che la perdita di un'attività comporti delle perdite di potere decisionale per gli enti interessati e che quindi l'outsourcing non venga inizialmente ben accettato.

Quanto detto induce ad un'ultima riflessione. Risulta evidente, infatti, la relazione di complementarietà che si crea tra l'outsorcing e la reingegnerizzazione dei processi di business (BPR): da una parte, i problemi già esposti manifestati nella redefinizione dei processi aziendali (tempi lunghi per ottenere risultati, aumento dei costi per il sovrapporsi di strutture trasversali, resistenza interna al cambiamento) vengono risolti dall'outsourcing, dall'altra il BPR rappresenta lo strumento ideale per implementare la terziarizzazione delle attività non legate alla missione dell'impresa in modo proficuo nel lungo periodo. Per confermare lo stretto legame che intercorre tra outsourcing e BPR, basti ricordare che le due parole chiave delle teorie del BPR sono la "mission" e il "core business". L'identificazione della mission è, infatti, il primo atto del processo di riprogettazione di un'azienda: se una azienda è nata per progettare, costruire e vendere macchine agricole, la sua mission (o compito primario) dovrà essere non più prioritariamente ma esclusivamente quella della progettazione, costruzione e vendita di queste macchine. In questo sta il suo core business (espressione complessivamente intraducibile in italiano, in cui il ben conosciuto termine business viene abbinato al termine core che significa "nucleo centrale"). Nel futuro prossimo ogni azienda realizzerà la sua mission se concentrerà la propria attenzione nel successo del suo core business, ricorrendo in maniera massiccia all'outsourcing per la maggior parte delle funzioni complementari. E non si tratta affatto di affermazioni avveniristiche: limitato inizialmente ad alcuni settori, in particolar modo alla gestione delle risorse informatiche, delle reti di comunicazione e della gestione del personale, l'outsourcing è andato diffondendosi a macchia d'olio negli Stati Uniti ed è già da tempo entrato, con notevole enfasi, in diversi Paesi dell'Unione Europea.



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